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Corvetto Street Basket Academy: una scuola di basket per le comunità del quartiere

Corvetto Street Basket Academy nasce da una passione condivisa – quella per il basket – e da un incontro casuale: quello tra Vincenzo e Giovanni, due papà residenti nel quartiere Corvetto con figli piccoli iscritti alla stessa scuola.
Dalla vincita del bando de La Scuola dei Quartieri nel 2023, il progetto Corvetto Street Basket Academy è passato dall’essere un’intuizione condivisa a un’associazione che coinvolge una sessantina di ragazzi e ragazze del quartiere offrendo settimanalmente allenamenti di pallacanestro e spazi di socialità e interazione alle loro famiglie.
Vincenzo Belluomo e Giovanni Venegoni, ci hanno raccontato com’è nato e cresciuto il progetto in questi anni e quali sono le prospettive future.

La prima volta che Vincenzo ha parlato a Giovanni della sua idea è stato di fronte ad un caffè, al tavolino di un bar del quartiere. Da qualche tempo aveva in testa un’intuizione nata dalla sua passione per la pallacanestro e da un’osservazione: nonostante i numerosi campetti da basket sparsi per il Corvetto, la maggior parte sembrava deserta o poco frequentata.

Si rende conto che la persona giusta con cui parlarne potrebbe essere proprio Giovanni, che nella vita fa il consulente e progettista, ma soprattutto, condivide con lui lo stesso amore per il basket.
La sua idea è quella di dare vita ad un progetto itinerante – una scuola di pallacanestro – , in grado ripopolare quegli spazi e organizzare qualcosa che potesse coinvolgere le comunità giovanili della zona.

La loro avventura inizia ufficialmente poco dopo, quando intercettano il bando della Scuola dei Quartieri: è difatti per la candidatura al programma che mettono per la prima volta nero su bianco tutti gli spunti raccolti da esplorazione del quartiere e iniziano a dare una forma chiara al progetto.

Il cuore dell’idea è organizzare degli allenamenti di pallacanestro aperti al quartiere, che non riproponessero però le modalità di attività di una scuola di basket convenzionale ma un approccio un po’ più light e itinerante.

"Ci siamo accorti che per molte famiglie e giovani del quartiere garantire una partecipazione continuativa agli allenamenti era molto complesso e di fatto limitante proprio a causa delle dinamiche personali e familiari"

L’obiettivo primario era creare qualcosa che non solo fosse in grado di rianimare i campetti vuoti, ma anche di coinvolgere attivamente le diverse comunità, offrendo opportunità di incontro e socializzazione non solo per le nuove generazioni, ma anche per le persone intorno a loro.

“É stato proprio in uno dei laboratori formativi della Scuola dei Quartieri che è venuto fuori questo aggettivo che ci è piaciuto molto da subito: un progetto quasi circense. Perché la nostra idea era quella di organizzare degli eventi itineranti, da campetto a campetto, che quindi si spostassero e animassero vari spazi del quartiere per coinvolgere in modo più diretto le diverse comunità presenti lavorando con una modalità che fosse veramente di incontro e prossimità”.

Il concetto di prossimità è un aspetto chiave, che si traduce anche nel loro modo di relazionarsi con chi viene agli allenamenti: “Appena entrati in campo, il primo approccio con qualsiasi bambino o bambina è mediato da un semplice gesto: gli viene chiesto il nome e passata una palla, una dinamica, che poi è quella del gioco, in apparenza così banale, che ha il potere straordinario di connessione”.

In questo semplice gesto, passarsi una palla, sta il primo passo per superare difficoltà, fragilità e barriere sociali, mettendo tutti i giocatori e giocatrici, senza distinzione, sulla stessa linea di partenza. 

Agli allenamenti partecipano infatti ragazzi e ragazze con background culturali molto vari, molti di loro arrivano da precedenti esperienze con altre realtà sportive dove non si sentivano valorizzati o alle quali non riuscivano ad adattarsi per via di allenamenti troppo rigidi o regole non compatibili con la loro situazione personale.

“In questi anni abbiamo stimato che circa il 15-20% dei nostri giocatori ha una fragilità, fisica o intellettiva. Osservando queste dinamiche ci siamo accorti che il nostro è un progetto prima sociale e poi sportivo: non è un problema se uno dei ragazzi o delle ragazze ad un certo punto dell’allenamento deve andare via, i nostri allenatori danno loro la libertà di poter lasciare il campo quando vogliono. Questo approccio gli consente di sentirsi a proprio agio e a noi di scoprire, senza forzature, fragilità e bisogni che in un contesto tradizionale avrebbero potuto restare nascosti”.

Il successo del progetto risiede qui: si tratta di allenamenti aperti a tutti e tutte non solo perché fisicamente non c’è una parete che divide lo spazio da gioco dall’esterno, ma anche perché non esistono barriere fisiche o culturali alla partecipazione. Al contrario, tutto è pensato per far sì che persino l’ambiente circostante al campo sia in grado di accogliere e diventare luogo inclusivo, dove anche le famiglie possano sentirsi accolte e coinvolte.
Per questo chi si avvicina al progetto lo fa attraverso il passaparola e il contatto diretto, perché più che investire in attività di comunicazione, lavoriamo a stretto contatto con le persone.

“Abbiamo progettato intorno alle attività di allenamento una serie di servizi collaterali per le famiglie dei ragazzi e ragazze che seguono gli allenamenti, li chiamiamo “off – court” e sono pensati per dare a tutte le persone che solitamente sono a lato del campo, l’opportunità di vivere quelle due ore morbidamente e relazionandosi con le une con le altre.
Questi spazi ci consentono di creare una rampa dolce verso il campo da gioco e al contempo di aiutare chi ha più difficoltà ad avvicinarsi, cercando di costruire un senso di comunità e condivisione”.

Tutto questo, ci tengono a sottolineare, offrendo allenamenti di alta qualità: “Oltre ai nostri allenatori certificati, spiega Giovanni, vengono a fare allenamento per noi anche giocatori e giocatrici professioniste. Un esempio: Susanna Toffali, la capitana del Sanga Milano, squadra in A2, una donna molto impegnata nel sociale, che offre spesso allenamenti nelle scuole e ci teneva a venire a giocare con noi.”

Un altro punto di forza, e di impatto, è sicuramente quello delle reti sul territorio, ci raccontano: “Abbiamo avuto la fortuna di poter cominciare a lavorare subito con Gilberto Sbaraini e La Strada, l’associazione che adesso ospita il magazzino con tutto il nostro materiale e con cui condividiamo il furgone giallo della Corvetto Basket Academy. La Strada ci ha introdotto in un mondo di associazioni incredibile, con cui abbiamo firmato un patto di collaborazione. Facciamo infatti parte della rete di associazioni del Corvetto, con le quali ci incontriamo periodicamente negli spazi del Comune e con cui abbiamo partecipato ad un numero imprecisato di eventi ed iniziative”.

Tra le ultime in cantiere: il rifacimento del campetto in Via Ravenna in collaborazione con il Comune di Milano, il Municipio e il Vespaio, associazione specializzata in economia circolare e nel riutilizzo della plastica. Insieme a loro verranno rinnovati allestimenti del campo, come tabelloni e altre strutture che useranno durante gli allenamenti.
Ma non è tutto, il progetto – che partirà questa primavera – si concluderà nell’autunno 2025 con l’intervento della street artist NineinThePaint, giovane designer e giocatrice di basket che si dedica alla decorazione dei campi da pallacanestro. Il suo contributo raccoglierà stimoli e visioni dei ragazzi e ragazze del quartiere che verranno coinvolti attivamente nel percorso, proprio per evitare una “riqualificazione” lontana dalle sensibilità di chi abita questi spazi.

Volete saperne di più o mettervi in contatto?

Foto per gentile concessione di Corvetto Street Basket Academy