«Ma cos’è che fate qua?». Gli abitanti del quartiere popolare di San Siro ci hanno messo un po’ a dare un senso alla presenza fissa, tra i caseggiati Aler, di alcuni studenti del Politecnico di Milano. Ancora oggi, dopo ormai sette anni, non tutti capiscono il “lavoro” di Mapping San Siro, il gruppo di ricerca-azione nato nel 2013 dopo un workshop curato da Francesca Cognetti, docente del Dipartimento di Architettura e Studi Urbani. «Del resto, gli effetti delle nostre ricerche non sono sempre così immediati e tangibili». Paolo Grassi, invece, è laureato in Scienze dell’Educazione e Antropologia, ha avuto esperienze in Repubblica Dominicana e in Guatemala. È specializzando in Antropologia urbana e della violenza e fino a gennaio del 2017, anno in cui si è unito al gruppo, non sapeva bene cosa fosse un quartiere Aler. Oggi praticamente ci vive.
Nel quadrilatero compreso tra le torri di City Life e lo stadio Meazza ci sono 6 mila appartamenti e circa 12 mila residenti. Di questi, più del 40% sono immigrati, molti sono anziani soli e diversi soffrono di disabilità psichiche. Vite ai margini della società, in caseggiati spesso fatiscenti, in una periferia non così lontana dal centro. Un quartiere non solo problematico, ma narrato sempre e comunque come tale: la “kasbah di Milano”, la “Molenbeek” italiana, si legge spesso sui giornali. L’avvicinamento del gruppo di ricerca-azione è scaturito da una storia quasi biografica. «La professoressa Cognetti, abitando qui vicino, si sentiva coinvolta in prima persona, e come cittadina e come ricercatrice universitaria esperta di città». Ma anche dal desiderio di creare una rappresentazione di San Siro diversa dall’immagine univoca, stereotipata e stigmatizzante che normalmente domina la cronaca.
Nel 2014 viene raggiunto un piccolo traguardo: Mapping San Siro ottiene in comodato gratuito da Aler quello che poi diventerà “30metriquadri”. Lo spazio in via Abbiati si trasforma nella base operativa del gruppo, dandogli la possibilità di radicarsi sempre di più nel territorio oggetto di indagine. «San Siro è una sorta di quartiere-laboratorio, dove c’è una concentrazione di temi e bisogni interessanti da esplorare dal punto di vista urbanistico, architettonico, ma anche sociologico e antropologico».
«“Ma cos’è che fate qua?” è una domanda che ci siamo sentiti porre molto spesso. “Facciamo ricerca” non è mai stata una risposta del tutto soddisfacente, più che altro perché gli esiti progettuali più evidenti sono emersi solo di recente. Tuttavia in questi anni si è creato un rapporto di fiducia tra Mapping, alcuni abitanti e i soggetti della rete locale. Il fatto stesso che la ricerca interessasse o coinvolgesse direttamente il quartiere ha reso i residenti protagonisti e in qualche modo autori essi stessi della produzione culturale e accademica. L’aver rimesso al centro il quartiere insieme quartiere è stato il punto di partenza e di arrivo del lavoro di Mapping, il modo più efficace per creare consapevolezza tra i cittadini e costruire un discorso pubblico fatto di persone e non di problemi.
Nel 2019 per Mapping San Siro apre una nuova stagione. Ad aprile dello scorso anno è stato inaugurato, in via Gigante, Off Campus, un altro spazio ottenuto sempre in comodato d’uso gratuito grazie a un accordo tra il Politecnico, Aler e Regione Lombardia. L’apertura rientra nell’asse d’azione di “Polisocial”, il programma di responsabilità sociale del Politecnico di Milano che intende mettere l’università a stretto contatto con i territori e la società. «Quella di Mapping è stata un’esperienza in sé unica. Quando è partita non se ne conoscevano gli esiti. Oggi sappiamo che il primo è stato “30metriquadri” e il secondo l’apertura di Off Campus, mentre la pratica della ricerca-azione è diventata la base di un approccio trasformativo».
In via Gigante lo spazio si è allargato, sia in termini di superficie che di realtà che in esso convivono. «Oltre al Politecnico si è aggiunta anche l’Università Bocconi che ha attivato lo sportello giuridico e di educazione alla legalità». Al suo interno non si svolgono solo attività di ricerca, ma anche iniziative collaterali nate dalla collaborazione tra abitanti e reti locali. «Penso a “S-Confini”, un progetto per promuovere l’inclusione dei bambini stranieri nelle scuole di quartiere. O a “Cortile Spettacolare”: la proposta, tra le vincitrici del bando Creative Living Lab (MiBACT), prevede la riprogettazione del cortile di via Abbiati 6 – 150 alloggi per 500 residenti, di cui il 50% di origine straniera – per sperimentare pratiche di convivenza innovative attraverso la partecipazione degli abitanti stessi.
Ad oggi altre azioni che risultano tangibili agli occhi di chi vive o gravita intorno a questa zona sono principalmente tre: l’aver acceso una luce in via Abbiati con l’apertura di “30metriquatri”; la scrittura del bando “Nuove luci a San Siro”, che ha permesso la rivitalizzazione degli spazi commerciali sfitti di proprietà di Aler; e il coordinamento di “Sansheroes”, la rete delle associazioni, cooperative e gruppi organizzati di abitanti attivi. «In questi anni non possiamo dire di aver cambiato il quartiere, ma se c’è una cosa positiva che la nostra presenza ha portato è stata la riattivazione di un dialogo tra i vari soggetti locali. Università e studenti compresi, che con questo progetto sono usciti dalla dimensione di pura simulazione e si sono dovuti confrontare con richieste e risposte reali».