Fino a qualche mese fa, per le vie di Milano, si aggirava un’apecar tutta ricoperta d’erba. Era il mezzo di “Bella Dentro”, start up milanese nata nel 2018 per salvare i prodotti ortofrutticoli dalle logiche basate sugli standard estetici della Grande Distribuzione Organizzata (GDO). Chi l’ha detto infatti che frutta e verdura devono essere per forza belle per essere anche buone? A fondarla una coppia di trentenni, Camilla Archi e Luca Bolognesi, che dopo aver letto un reportage sullo spreco alimentare pubblicato dal National Geographic, ne sono rimasti così colpiti da decidere di lanciarsi in questo «bell’azzardo». Al momento l’Ape Bella Dentro è ferma, ma solo perché tutte le loro energie sono concentrate sull’apertura di un laboratorio di trasformazione e di un negozio in zona Centrale grazie ai quali salvare ancora più prodotti dalla distruzione coatta.
Camilla lavorava a Milano nel settore advertising, Luca invece ha sempre studiato e lavorato all’estero fino ad arrivare al ruolo di Brand Manager in una grande multinazionale americana di largo consumo in Svizzera. «La prima cosa che abbiamo fatto non è stato progettare sulla carta la nostra start up, ma ci siamo licenziati e abbiamo deciso di trasferirci in Emilia Romagna dove, per un po’ di tempo, abbiamo fatto i braccianti. Andare “sul campo” era l’unico modo per toccare con mano le dinamiche che governano la produzione agricola. Col tempo siamo riusciti a entrare in contatto con quasi tutti gli attori della filiera agro-alimentare e a parlare persino con alcuni buyer della grande distribuzione», spiega Camilla.
Leggermente ammaccato, troppo grande, troppo piccolo, dalla forma irregolare. Basta un piccolo inestetismo per sancire la fine – e quindi lo spreco – di un frutto o di una verdura. Si stima che il 15-20% dei prodotti ortofrutticoli non rientrano negli standard imposti dalla GDO, soprattutto per colorazione, forma e misura, portando nella sola Europa a uno scarto annuo di 50 milioni di tonnellate di frutta e verdura buona ma imperfetta. «Ebbene sì, anche le albicocche subiscono la gogna della maledetta taglia 40 anzi 45. Non importa quanto siano BUONE, e magari anche immacolate, se non sono della taglia “giusta” (nel loro caso si parla di CALIBRO) vengono scartate e lasciate per terra nei campi», si legge sulla pagina Facebook di Bella Dentro, che ha fatto della comunicazione ironica (vedi Instagram) e del contatto diretto con i clienti (vedi l’apecar) il proprio cavallo di Troia per insinuarsi nelle coscienze dei consumatori, ormai troppo abituati a giudicare il sapore più con gli occhi che non con il palato.
Per quanto riguarda l’Italia, ad oggi gli agricoltori sono costretti a scartare dal 30 al 70% del raccolto che non soddisfa gli standard estetici richiesti dal mercato. La perdita economica generata da questa logica malsana è enorme per i produttori, che oltre al danno spesso si trovano a dover affrontare anche la beffa: in alcuni casi tocca loro pagare per smaltire i prodotti classificati come “scarto”. Da qui l’idea di creare una filiera parallela per ridare valore non solo al prodotto ma anche al produttore. «A differenza della GDO, con noi è il contadino che fa il prezzo. La merce, che arriva da tutta Italia viene stoccata in un magazzino a Segrate». Il costo della logistica è a carico loro e nonostante tutto sono riusciti a generare un ricavo tale da convincere la Fondazione Social Venture Giordano Dell’Amore, braccio strategico e operativo di Fondazione Cariplo nell’ambito dell’impact investing, a investire 300.000 euro in equity, per sostenere l’impatto sociale e culturale dell’iniziativa.
Dopo l’esperienza con l’apecar, che ha permesso di abbattere i costi e di gestire in maniera diretta il rapporto con i clienti, anche per Camilla e Luca sta per iniziare la Fase 2. «Per poter massimizzare la riduzione dello spreco, abbiamo pensato di aprire il primo negozio, che inaugurerà a settembre in piazza Caiazzo, e un laboratorio di trasformazione. Questa parte di lavoro abbiamo deciso di affidarla a una cooperativa di Codogno, che per vari motivi sono anche loro “belli dentro”: «A convincerci è il loro metodo di lavoro inclusivo. Loro fanno con le persone quello che noi cerchiamo di fare con la frutta e la verdura».